Da piccoli, per convincerci che nulla è impossibile nella vita, ci raccontavano la storia di Davide e di Golia, del pastorello che armato di una semplice fionda ma dotato di grande intelligenza riesce ad abbattere un gigante armato fino ai denti. Questo racconto, unito alla celebre frase di Alessandro Magno“nulla è impossibile per chi osa”, è usato a distanza di centinaia d’anni da genitori, educatori e allenatori per spiegare ai ragazzi a non arrendersi davanti alle apparenze, a credere sempre nella possibilità di realizzare anche quello che a prima vista appare impossibile e a non dare mai nulla per scontato. Sia in negativo che in positivo: perché nessun nemico è imbattibile ma al tempo stesso non esistono battaglie dall’esito scontato in partenza.
Quando domenica mattina siamo entrati in quell’impianto meraviglioso di Jesolo, ci siamo sentiti un po’ come Davide (noi genitori, meno i ragazzi e assolutamente non Pistorio, perché lui è anche convinto di essere alto 2 metri, pure bello con gli occhi azzurri e… biondo) che si trova davanti Golia e per un momento pensa: “Ma perché sono qui? Perché invece di venire a prendere schiaffi non me ne sono rimasto a casa?”
Lo abbiamo pensato, soprattutto quando abbiamo visto il quartetto di Treviso (la prima avversaria), con tre giganti che veleggiavano bel oltre i 180 centimetri (di cui due ben oltre i 185 centimetri…) e un “nano” che era alto come Francesco e Simone. Poi, guardandoci in giro, vedendo i ragazzi in fila indiana per il pranzo, abbiamo capito che erano quasi tutti così, che almeno fisicamente sarebbe stata una due giorni di continui Davide contro Golia. E che, quindi, bisognava usare altro per vincere: la tecnica, la testa e soprattutto tanta voglia di farcela, di arrivare, di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Con la forza dell’amicizia e dell’essere gruppo che oramai è il loro (nostro, perché tra genitori si è instaurato lo stesso rapporto) marchio di fabbrica da opporre come una formazione a testuggine davanti al nemico che carica. E così è stato. Una prima partita non giocata per colpa di quel blocco che oramai contraddistingue i “4 dell’Ave Maria” (Simone Becchetti, Gabriele Corriere, Francesco Greco e Diego Mattiangeli, in rigoroso ordine alfabetico) in avvio di torneo e poi via, senza pensieri. Era successo anche in occasione delle finali regionali del Join the Game, con la sconfitta iniziale contro San Cesareo che aveva messo i nostri ragazzi subito con le spalle al muro: vincere, sempre, altrimenti si tornava a casa. E a Jesolo, il copione si è ripetuto alla perfezione: sconfitta con Trevisto, vittoria strameritata ma sofferta contro Montegranaro, più larga contro Sassari e infine lo show contro Matera, un 17-2 che ha fatto segnare il massimo scarto tra due squadre in tutto il torneo, insieme a un 20-5 di Forlì e un 18-3 di Varese. Non a caso le prime tre della classifica finale…
La mattina dopo, il colpo di scena: non una sfida secca con Livorno, ma un altro girone a quattro per conquistare i due posti in semifinale. Con altre due avversarie neanche studiate: Vado con l’ennesimo gigante da contrastare e poi Forlì, candidata alla vittoria finale con il miglior tiratore da tre punti maschile del torneo e un gruppo fisicamente e tecnicamente quasi perfetto. Neanche il tempo di pensare, ed inizia la battaglia. Con Livorno, punto a punto fino al 7-7 finale, ingiusto, perché determinato da tre punti subiti per falli diciamo così “opinabili”. Quindi, ancora una volta con le spalle al muro o quasi: battere Vado (che nella prima partita aveva abbattuto a sorpresa Forlì) o uscire. E’ bastato uno sguardo per capire che negli occhi c’era la luce giusta, che i “4 dell’Ave Maria” erano più che decisi a scrivere una pagina storica nella vita dell’Olimpia. E così è stato: vittoria bella, strameritata, d’autorità e ottenuta da grande squadra e senza neanche troppa sofferenza, nonostante il 9-7 finale. E a quel punto, tra uscire e entrare nella storia c’era solo la sfida con Forlì: 5 minuti di sofferenza. E qui, accade l’impensabile: non c’è partita. Un solo punto segnato, piano di battaglia distrutto con Davide a terra ancora prima di poter caricare la fionda, abbattuto dalla furia di Golia. Tutti a casa, fine dei giochi e dei sogni di gloria. Invece, no… Nella vita c’è sempre speranza e come dice Pistorio “serve anche una bella dose di… fondoschiena”. E così è stato. Per passare il turno, Livorno e Vado dovevano pareggiare l’ultima partita, in modo da arrivare a pari merito con i liguri e passare per aver vinto lo scontro diretto. Con qualsiasi altro risultato si usciva. Ed ecco il tocco imprevisto ad un finale che sembra già scritto: Vado vola, arriva addirittura a +3 a poco più di un minuto dal termine poi un fallo su tiro e un canestro a 10” dalla sirena rimettono tutto in parità. Vado rimette veloce, il play vola in terzo tempo appoggiando a canestro ma il pallone danza sul cerchio e va fuori. Un attimo di silenzio, poi un urlo che rimane strozzato in gola per il timore di una beffa regolamentare, Davide Pistorio che vola (non ci crederete, lo so, ma ha saltato la barriera alta più di un metro come se fosse un gradino) in campo e va al tavolo per avere la conferma. Poi un sì con la testa e il boato, gli abbracci, i “4 dell’Ave Maria” che fanno mucchio selvaggio quasi increduli: Olimpia San Venanzio sul podio, tra le prime 3 d’Italia.
Forza Olimpia
Stefano Greco
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