Site icon Olimpia Roma

Miracoli? No, il futuro è di chi lo sa immaginare

Ci sono momenti nella vita in cui il buio che ti circonda sembra senza fine… Ci sono momenti in cui il labirinto in cui sei finito sembra senza vie d’uscita… Ci sono momenti in cui il peso degli anni e dei problemi sembra sul punto di schiacciarti definitivamente…Ci sono momenti in cui il peso degli anni e dei problemi sembra sul punto di

di Stefano Greco

Ci sono momenti nella vita in cui il buio che ti circonda sembra senza fine… Ci sono momenti in cui il labirinto in cui sei finito sembra senza vie d’uscita… Ci sono momenti in cui il peso degli anni e dei problemi sembra sul punto di schiacciarti definitivamente… Ci sono momenti in cui pensi che nessun tipo di fiamma possa riaccenderti il cuore per farti riprovare emozioni antiche, perché quel cuore è lacerato da tante ferite, grandi e troppo profonde… Ma in questi momenti in cui tutto sembra perduto, in cui il finale della storia sembra già scritto da quel destino che si diverte a prendere a schiaffi i più deboli e a premiare quasi sempre i più forti (o meglio, i più ricchi o i più potenti), a volte, accade un piccolo miracolo, inatteso. 

Un grande poeta orientale, anni fa ha scritto che “il futuro è negli occhi e nel sorriso di un figlio”. Ed è proprio così, perché solo quel sorriso a volte è in grado di riaccendere la fiamma e di squarciare il buio, dando vita a nuove emozioni, ad una nuova avventura finalmente a lieto fine. Domenica scorsa, dopo quella grande delusione provata nella finale d’andata del regionale in casa dell’Eurobasket, con quel -12 che sembrava aver messo la parola fine ad un sogno, dopo ore di rabbia e di silenzi, mentre stavamo sul divano a casa di amici ho incrociato lo sguardo di mio figlio e mi sono perso nei suoi occhi, nel suo sorriso. Niente parole, solo uno sguardo a cui ha fatto seguito un lungo abbraccio che ha abbattuto il muro, facendo scomparire in un colpo solo quel labirinto in cui erano rinchiuse rabbia, dubbi e paure. “Ce la possiamo fare papà”, mi ha detto alla fine di quell’abbraccio e io, guardandolo negli occhi, gli ho creduto…

Quando nei primi mesi del 1982 ho iniziato a fare il giornalista sportivo, mai avrei pensato un giorno di scrivere un articolo parlando di mio figlio in chiave sportiva. Invece, oggi sono qui, a notte fonda, a gettare su un foglio bianco parole scritte con l’inchiostro dei sentimenti. Sì, perché oggi mio figlio mi ha regalato un secondo 14 maggio indimenticabile, senza la Lazio di mezzo. Scrivo io di Francesco, così come ognuno dei genitori dei ragazzi dell’Olimpia potrebbe scrivere le stesse cose del proprio figlio, perché il successo di oggi di questa squadra di quartiere che ha abbattuto il colosso Eurobasket (la Juventus del basket romano), non è il successo di un singolo, ma di un gruppo straordinario allenato da un team di allenatori che hanno dimostrato di essere per prima cosa dei grandi educatori, dei maestri di sport e di vita. Mai una sceneggiata, mai un tecnico in tutta la stagione e un costante impegno nell’allenare i ragazzi ma anche… i genitori. Già, perché in troppi casi siamo proprio noi quelli più difficili da allenare, quelli da tenere a bada, quelli che hanno sempre qualcosa da ridire e che rischiano di rovinare quanto di buono si costruisce in palestra in ore e ore di allenamento. Non a caso, un mio amico allenatore (scherzando ma non troppo) mi ripete spesso che la squadra migliore da allenare è quella composta da soli ragazzi orfani. E Davide, Alessio, Raffaele, Paolo e tutti gli altri (compreso Peppe, costretto ad allontanarsi quest’anno per motivi di lavoro, ma sempre presente con lo spirito e con l’anima), sono riusciti in questa impresa nell’impresa. Non solo perché hanno messo in scena una riedizione in chiave basket del miracolo compiuto dal Leicester, ma perché alla fine hanno vinto dentro e fuori dal rettangolo di gioco.

Mi riesce difficile scrivere qualcosa di questa partita, perché mai come oggi sarebbe ingiusto sprecare tempo per raccontare di giocate e di singoli. Enrico Mattei, un grande imprenditore che si è fatto dal nulla e che qualcuno considerava un visionario (quindi, uno pericoloso…) diceva sempre che “il futuro è di chi lo sa immaginare”, ovvero di chi non si ferma al presente e ai numeri, ma che con la fantasia e la programmazione riesce ad andare oltre, anche rischiando di passare per un pazzo visionario. Quando a settembre abbiamo iniziato gli allenamenti, un giorno Davide Pistorio mi ha detto: “Questa squadra può vincere il campionato”. Ho pensato ad una delle solite frasi che si dicono a inizio stagione per caricare i ragazzi o per convincere un genitore d’aver fatto la scelta giusta, ma poi settimana dopo settimana ho capito che non si trattava di una frase fatta o buttata lì tanto per. Non perché l’Olimpia abbia un organico migliore rispetto a tutte le altre, Eurobasket in testa, ma perché questa è una vera squadra, in cui tutti sono importanti e tutti possono essere decisivi. Abbiamo perso di 12 all’andata in casa dell’Eurobasket, abbiamo vinto di 13 al ritorno conquistando il titolo regionale. Tabellini alla mano, sarebbe troppo facile dire che la partita l’ha vinta Francesco Greco con quei 22 punti che lo hanno portato ad essere il marcatore principe e l’MVP della finale. Sarebbe troppo facile e sarebbe anche sbagliato. Perché senza una grande difesa, senza 40 minuti di sangue e di sudore da parte di tutti, con il cuore gettato ogni volta oltre l’ostacolo per rubare un pallone o conquistare una palla vacante, quei 22 punti sarebbero serviti a poco, forse a niente, se non a restare nei tabellini e a fare statistica. 

Perché, lo ripeto, questa non è la squadra di un singolo, ma di 12-14 ragazzi che hanno dato tutto e hanno ripagato con l’impegno e il sacrificio la fiducia del loro allenatore. E non è una frase fatta. Volete un esempio? Ultimi secondi del terzo quarto, Davide Pistorio chiama un timeout e disegna uno schema: per Greco? Per Corriere? Per Becchetti? Per Mattiangeli? Per De Santis? Per “schizzo”? Per Cenciarelli? Per Menei o Sabelli?

No, per Lorenzo Grasso detto “Lollo”, uno dei 2004 del gruppo che quando Davide gli ha detto di entrare nella mischia lo ha guardato come per dire “ma che dici a me? Proprio a me???”… “Lollo” è il simbolo di questa vittoria, perché ha giocato meno di un minuto in questa partita, ma uscito dal timeout ha eseguito gli ordini: si è smarcato sulla sinistra vicino alla linea dei 3 punti, gli avversari hanno raddoppiato su altri sottovalutandolo e concedendogli un metro di spazio e, quando la palla gli è arrivata come da schema disegnato sulla lavagnetta, ha tirato e ha fatto canestro dall’angolo, per essere poi sommerso dall’abbraccio dei compagni in campo e di quelli in panchina. Questo significa essere una squadra, tutto questo è stata quest’anno l’Olimpia San Venanzio. Un gruppo di ragazzi che in altre squadre avrebbero potuto fare le primedonne giocando 35 minuti e segnando 20 punti a partita, invece hanno accettato di mettersi al servizio della causa, sacrificando minuti e punti per il bene comune. E, a turno, sono stati tutti decisivi. Anche chi come Francesco Carboni, Luca Di Marzio, Michele Messina, Cristiano Morgia e Andrea Flamini hanno avuto poco spazio, ma sono stati sempre presenti in palestra e, con genitori al seguito, hanno girato con noi tutta la regione sacrificando sabati e domeniche, magari solo per giocare pochi minuti. Senza mai un fiato, senza un lamento, senza nessuna processione da parte dei genitori nello spogliatoio dell’allenatore per lamentarsi perché i propri figli avevano poco spazio.

Perché tutti sono trattati allo stesso modo e i minuti in campo si guadagnano con il sudore in palestra e facendo gruppo quando si sta in panchina. Questo significa essere una squadra e giocare da squadra. Per questo abbiamo vinto. Perché batterci è stato difficile per tutti, anche per l’Eurobasket che ci aveva superato una volta di 5 e una volta solo di un punto nella prima fase. Perché puoi fermarne uno dei nostri ragazzi, ma ne spunta un altro. Uno è in giornata storta al tiro? Ci pensa un altro a segnare i punti che servono. E’ stato così per tutto l’anno e l’impressione a titolo vinto è che questo non sia un punto di arrivo, ma solo un punto di partenza. Perché qui non ci sono soldi, ma un progetto vero e tanta voglia di realizzarlo, da parte di tutti: dagli allenatori ai genitori, per finire chiaramente con i ragazzi, che poi sono i veri protagonisti. Per questo la gioia di oggi va custodita gelosamente, conservata nel cofanetto dei ricordi in cui si conservano le cose preziose della vita, ma va messa da parte, insieme a coppa e medaglie. Perché anche se questa giornata resterà per sempre impressa nella nostra memoria e i nostri ragazzi le immagini di questa impresa se le ricorderanno anche tra 30-40 anni, quando racconteranno ad un figlio di quel magico 14 maggio del 2016, la partita più bella da vincere è e sarà sempre la prossima. E per riuscirci, bisognerà raddoppiare e triplicare gli sforzi, lavorare e sudare ancora di più in palestra. Questo è lo sport, questa è la vita …

 

“Chi possiede sogni, possiede il futuro”, scriveva Naghib Mahfuz, premio Nobel per la letteratura. E i nostri ragazzi in questo magico 14 maggio hanno realizzato un sogno, ma ne hanno ancora tanti di sogni da realizzare. Nello sport e nella vita. E per capirlo, basta essere attenti e guardare nei loro occhi, perché “il futuro è negli occhi e nel sorriso di un figlio”.

 
Olimpia Roma 56 – Eurobasket 43 (totale 96-95)
Parziali: 15-8 14-11 17-9 10-15
Olimpia Roma: Le Donne, Di Marzio n.e. , Sabelli 3, Becchetti 8, Greco 22, De Santis 2, Mattiangeli 4, Carboni n.e., Corriere 10, Menei 1, Grasso 2, Cenciarelli 4 . All. Pistorio
Eurobasket: Telesca 2, Sarr, Ortis, Croce, Mastrantonio 2, Nardi 8, Marrone n.e., Damiani, Alechu 6, Calandrella 5, Giacomi 12, Francioni 8. All. Tesori
 
 
 
Exit mobile version