“È finita? Hai detto finita? Non finisce proprio niente se non l’abbiamo deciso noi, perché quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”. Per quelli della mia generazione, Animal House è un film cult e quella frase pronunciata da “Bluto” Blutarsky (il protagonista del film, interpretato da John Belushi) quando il suo gruppo sembra sconfitto, annientato, con il passare degli anni è diventata una sorta di motto per chi non si vuole arrendere neanche quando l’avventura sembra destinata al fallimento. Ed è quello che è successo ai nostri ragazzi, usciti annientati più dal punto di vista del morale che del punteggio dopo la partita d’andata persa alla “Bombonera” contro l’Alfa Omega, piegati in quel fortino inespugnabile per tutti o quasi, perché ad uscire trionfatrice dall’impianto di via Rocca di Papa quest’anno era stata solo la Stella Azzurra che, da un certo punto di vista, fa parte di un altro campionato.

Proprio come era successo un anno fa, dopo quel -12 subito in casa dell’Eurobasket nella finale d’andata dell’Under 13, i presupposti per arrendersi e mollare dopo il ko con l’Alfa Omega c’erano tutti. Ma in casa Olimpia, ancora prima di come si porta un blocco o di come si tira in sospensione, una delle prime cose che ti insegnano è che non si molla nulla, che non si arretra di un centimetro, che ci si arrende solo dopo il suono della sirena. E, subito dopo, si comincia a costruire la vittoria successiva, a pensare come prendersi in campo la vendetta sportiva per quello schiaffo rimediato. Così, già la sera del 27 aprile, nelle quattro mura dello spogliatoio e lontano da occhi indiscreti, i ragazzi hanno iniziato a rimettere insieme i cocci e lo staff tecnico (facendo tesoro di quello che era successo in campo) ha iniziato a preparare il piano per vincere non una battaglia, ma la guerra. Li abbiamo visti uscire a testa bassa e scuri in volto i nostri ragazzi quel pomeriggio, con poca voglia di parlare ma con tanta voglia di scendere immediatamente in campo per prendersi la rivincita, per cancellare con un colpo di spugna i numeri fallimentari di quella sfida. Perché sbagliare capita ai grandi, figuriamoci a ragazzi di 14 anni che si affacciano appena ora alla vita e che hanno solo iniziato a sbagliare e… a imparare. E noi, troppe volte, questo lo dimentichiamo. Perché gli vogliamo bene e pretendiamo sempre il massimo, quasi la perfezione. Ed è sbagliato. Sono il primo a cadere in questo errore a caldo e sono il primo ad ammetterlo a mente fredda. Sì, perché a volte anche per il troppo bene si sbaglia… o si esagera.

È difficile descrivere le emozioni provate in questi 20 mesi. Lo è anche per me che per lavoro da 35 anni  trasferisco le emozioni sulla carta dando voce ai sentimenti e al cuore. E quando parlo di emozioni non mi riferisco solo ai successi, perché sarebbe troppo facile elencare le due finali regionali raggiunte (una vinta lo scorso anno, la seconda si vedrà…), i due titoli regionali conquistati nel 3 contro 3 con il terzo posto alle finali nazionali di Jesolo dello scorso anno e la nuova avventura dietro l’angolo. Senza contare i tornei vinti e tutto il resto. Ma questo conta fino ad un certo punto. Perché diciamocelo chiaramente: a tutti noi piace vincere, a tutti noi piace mettere foto e risultati dei nostri figli sui social network, ma tutti noi siamo rimasti conquistati dal clima che regna in palestra, dal rapporto che si è creato tra questi ragazzi. Certo, a volte c’è anche qualche crepa, ma pure qui è impossibile pretendere la perfezione, quel mondo fantastico dove tutto va bene e in cui tutti si vogliono bene che esiste solo nei film della Disney, tutti chiaramente a lieto fine. Tutti noi siamo rimasti conquistati dal modo di giocare di questi ragazzi, dalla meticolosità con cui eseguono movimenti e schemi provati e riprovati in allenamento e memorizzati a suon di “suicidi”. Quando i genitori delle altre squadre a fine partita, sconvolti dall’intensità fisica dei nostri, a volte mi chiedono se e quanta preparazione atletica facciamo, mi viene da ridere ripensando ad una frase detta da Davide Pistorio con il sorriso sulle labbra durante un allenamento passato a far correre i ragazzi da una parte all’altra del campo fedele al motto “uno sbaglia tutti sbagliano”: “La preparazione atletica a noi non serve, perché ho una squadra di scemi… e con tutti i suicidi che fanno in allenamento quando sbagliano ad eseguire uno schema, a cosa serve fare preparazione atletica???”… A nulla, verrebbe spontaneo rispondere, perché più di così i nostri ragazzi non potrebbero faticare in palestra. E questo è uno dei segreti dell’Olimpia, di una piccola squadra di quartiere che da anni sfida i colossi del basket romano. Lo scorso anno l’Eurobasket, quest’anno la Stella Azzurra: società con mezzi e budget impensabili per una società come la nostra. E quando non si hanno i soldi per comprare i giocatori, bisogna aguzzare l’ingegno, bisogna mettere in campo altro e conquistare i genitori dei ragazzi che si vogliono coinvolgere nel progetto con la serietà e il lavoro. Queste sono le nostre uniche armi. Queste sono le basi su cui è stata costruita questa squadra che non smette mai di stupire e che è destinata a crescere: anche senza una palestra con un parquet in cui ci si specchia e seggiolini sugli spalti, senza divise acetate da modelli e senza i soldi per andare a comprare in giro per l’Italia, l’Europa e il Mondo altri talenti da inserire. I nostri “stranieri” vengono da Monterotondo ed è già un viaggio, un impegno durissimo per le famiglie e i ragazzi. Ma è bello così. È bello veder crescere così questi ragazzi, con le sole pressioni di genitori che a volte pretendono troppo in quei 40 minuti di gioco, ma nulla più e solo per amore di questi ragazzi e di questo sport.

La chiudo qui, perché mi sono già dilungato troppo e perché spero che questo sia solo un altro capitolo e non l’epilogo della storia. Certo, se l’anno scorso per arrivare al titolo bisognava combattere una battaglia da Davide contro Golia, quest’anno siamo come Bugs Bunny e i Looney Toons che affrontano in una sfida di basket una squadra di alieni che hanno rubato il talento dei migliori giocatori della NBA. E non abbiamo neanche Michael Jordan dalla nostra parte. Insomma, un’altra storia con un finale all’apparenza scontato ma ancora tutto da scrivere, quindi… FORZA OLIMPIA!

 

Stefano Greco